Il vino: nella sua produzione l’ispirazione culturale e poetica di un mondo rurale ed antico.
Nel titolo s’insinua sottile la parafrasi di un famoso film di alcuni anni or sono: ‘Il Profumo Del Mosto Selvatico’, diretto dal regista Alfonso Arau, nel quale le storie dei protagonisti principali, Keanu Reeves, Aitana Sánchez-Gijón, Anthony Quinn e l’inossidabile attore ‘made in Italy’ Giancarlo Giannini, intrecciavano storie, amori e passioni all’interno di una fazenda messicana protagonista proprio negli ambiti della vinificazione e viticultura. Tra suoni di mariachi, gelosie, incendi sia nei campi sia nei cuori, l’uva, quest’antico frutto della terra eletto sin dall’antichità pianta generatrice di bevande ed ebbrezze anche tra gli Dei, si pone al centro di una vicenda nella quale proprio il succo mostato dell’uva è ispirazione nel narrare soprattutto una cultura.

Vinificare è cultura, ovunque nel mondo: dalla regina del settore, l’Europa, alle Americhe statunitensi, messicane, cilene, argentine, all’Asia delle nuove realtà cambogiane, vietnamite, indiane, sino alla lontana Australia nella quale pionieri europei hanno importato i migliori ceppi di viti, producendo ottimi cabernet, barbera, refoschi. Rimanendo all’interno dei set cinematografici, pochi anni or sono anche Ridley Scott ha voluto onorare l’ambiente vitivinicolo con una pellicola di grande fascino, ‘Un’Ottima Annata’, tra dolci colline provenzali e segreti antichi di una Francia rivale e amica nel porgere al mondo la propria cultura d’ambito. Russel Crowe e Marion Cotillard, in quella stupenda pellicola, hanno saputo bruciare, ardere sino in fondo la propria passione proprio tra i filari dei rossi e dei bianchi provenzali.
Ma se la Francia è tra le regine di botti e bottiglie di qualità, l’Italia non è da meno, anzi, da anni ha superato la rivale transalpina incentivando e promuovendo le proprie eccellenze vinicole con prodotti di grande pregio e valore. Dal vino ideale per i pasti e a buon mercato sino ai gioielli in bottiglia, derivati da invecchiamenti prolungati di annate ritenute eccezionali, l’Italia vinicola ha imposto i suoi brand con grande caparbietà ed investimenti.
Per quanto meno famosa delle pellicole precedenti, anche il cinema italiano, grazie alla pellicola ‘Barolo Boys’, ha mostrato il volto reale, culturale, significativo dell’universo in bottiglia. Diretto da Paolo Casalis e Tiziano Gaia, scorrendo le immagini sulla voce narrante del top-chef internazionale Joe Bastianich, gli attori Oscar Farinetti e Carlo Petrini hanno interpretato il mondo ‘langarolo’ della produzione del Barolo. Con la loro caparbietà, i giovani viticoltori hanno rivoluzionato il concetto di produzione e distribuzione, mutandone assetti e innovando la merceologia in quegli anni ’80 e ’90 nei quali le Langhe, tra dolci colline così simili alle cugine francesi del Bordeaux o della Provenza, sono oggi un’area eletta e protagonista assoluta nel rivelare al mondo intero il volto eccellente e raffinato di un’Italia tra slow-food e qualità sopraffina.

Il Piemonte, terra di vini e di perfezioni. Immaginate l’Italia moderna con gli assetti rinascimentali dei ducati e delle contee: in questa allegoria le zone di produzione vinicola assumono le immagini retoriche di araldiche aree nobili. Il Granducato del Chianti, in quell’area che da Firenze a Siena scorre sui colli di un’Italia centrale a ridosso dell’Appennino, con terreni fertili e ricchi di oligoelementi indispensabili per donare ai vini, soprattutto rossi, quegli aromi che ne contraddistinguono le peculiarità.
Lo stesso vale per il Piemonte, il Regno rivale di quell’ideale Granducato toscano dei vini. Anche nei terreni di Monferrato o Langhe e Roero, le due zone principali della vinicoltura piemontese, le colline, tornite e gentili, i terreni fertili e preziosi nei micro-elementi, sono zone ideali per garantire una qualità sopraffina e prodotti diffusi in ogni angolo del mondo, a volte con prezzi giustamente elevati per le particolarità organolettiche e olfattive all’interno delle bottiglie. Le maturazioni in antiche botti pregiate, le tecniche di coltivazione e vendemmia sono ancora legate alle tradizioni manuali.

Nel Piemonte di oggi ben sette vini vantano il pregiato titolo di DOCG, un folto gruppetto composto da ulteriori quarantatré vini può fregiarsi del logo di vini DOC. Tutto ciò rimane all’interno di una ricetta vincente da anni, infatti il Piemonte ha saputo mantenere le proprie tradizioni vitivinicole e portare nel terzo millennio la propria cultura del settore senza impedirsi a priori le possibilità di un’industria moderna: un perfetto binomio tra ricerca e conservazione, innovazione e regole antiche da tramandare.
In questa nicchia d’eccellenza, proprio nell’antichità agricola della zona, si ricercano e trovano le risposte: un vitigno su tutti ha decretato il successo del Piemonte in bottiglia, autoctono e figlio della sua terra, il Nebbiolo. Da questo generoso e importante padre, una schiera di figli regali e nobili hanno sancito Monferrato e Langhe e Roero come terre monarche di vini. I nomi dei figli, i principi in bottiglia, sono ben noti a tutti: il Barolo, il Gattinara, il Barbaresco ed il Ghemme, forse meno noto nella cultura vinicola nazional-popolare, eppure grande eccellenza storica novarese. Le prime notizie di questo rosso scuro risalgono infatti al primo secolo dopo Cristo, vino esaltato dal grande Plinio il Vecchio nella sua ‘Naturalis historia’. Il Barolo sul trono dei vini Ovviamente, per tutta una serie di concause più o meno note, il Barolo, all’interno della corte regale dei figli di sua Maestà Nebbiolo, è il Principe assoluto del territorio di Langhe e Roero, esportato in tutto il mondo, al centro di vere e proprie aste anche tra battitori d’asta di caratura internazionale, simbolo di lusso e qualità al pari del caviale danubiano, dei migliori champagne, dell’anguilla comacchiese.
Anni fa un top-brend specializzato in strenne di altissimo valore economico, uniti all’interno di una valigetta lussuosa questi prodotti esportandoli e rendendoli sinonimo quasi snob del lusso, ma anche di eccellenza al top.

Allora alzate l’apposito calice e degustate un Barolo con almeno tre anni (il minimo d’invecchiamento per questo vino) di vita tra botti e bottiglia e lasciatevi conquistare così come ne fu completamente ammaliato Re Carlo Alberto di Savoia o Vittorio Emanuele II, nella cui tenuta di Fontanafredda, s’intrecciarono i profumi di un mosto selvatico tutto italiano, tra passioni sotto le lenzuola e a tavola, ovviamente libando nei lieti calici di un Barolo rosso-granata!