Qui in Piemonte noi figli di famiglie contadine e vignaiole abbiamo una parola unica che ci rimanda subito a un significato ben preciso, una parola che nel resto del mondo non esiste, o forse vorrà dire poco o niente ma che nella mia testa risuona con la voce dei miei nonni e dei miei genitori.
Il ciabot.
Così lo chiamiamo in Langa. In Monferrato lo chiamano casot, ma è la stessa cosa.
Il ciabot o casot, per chi non conoscesse il piemontese, è una piccola casetta che se ne sta in mezzo alle vigne, quasi a proteggerle e a vegliare sull’uva. In verità l’uso del ciabot è sempre stato meno poetico di quel che sembrava da fuori: era il magazzino degli attrezzi dei lavoratori delle vigne, abitato da animaletti come ragni, insetti, qualche topolino di campagna e uccelli di tutti i tipi.
Il ciabot nasce da lì, dalle necessità quotidiane di chi lavorava la terra tutti i giorni e tutti i giorni aveva bisogno di portarsi dietro le attrezzature o ripararsi da un improvviso temporale estivo mentre si era in vigna a lavorare.
La soluzione è stata naturale, una piccola costruzione in muratura che potesse allo stesso tempo tenere riparo alle scorte d’acqua, di cibo o di persone.
Alcuni dei miei ricordi di bambina mi vedono nelle calde giornate di primavera o di estate giocare a piedi scalzi e spensierata tra le vigne, e fare poi merenda nel tavolo del ciabot con pane e marmellata, pane e zucchero, o con la frutta. Quei tavoli servivano anche come momento finale delle giornate di vendemmia, quando la sera si cenava tutti insieme in vigna, stanchi, sporchi ma felici per quell’uva raccolta che dava inizio a un vino nuovo.
I ciabot ci sono davvero ovunque tra Langhe, Roero e Monferrato.
Ogni vigneto ha il suo guardiano in muratura che se solo potesse parlare avrebbe storie di generazioni di famiglia da raccontare, storie felici e tristi, storie di arrivi e di partenze, di vendemmie buone e di anni di crisi, di siccità, di anni difficili ma anche di anni soleggiati e sereni, di voci di bambini e di racconti di anziani.
E il ciabot è diventato Patrimonio Unesco.
Una cosa che avevamo da sempre sotto gli occhi si è rivelata un tesoro, prezioso non solo per noi ma per tutti. Bellezze semplici che narrano di un tempo in cui ancora i ritmi dell’uomo erano i ritmi della natura, e fra i due c’era una storia d’amore forte e matta.
I ciabot, per noi piemontesi, sono così importanti che è nato un progetto formativo dal nome “Banca del Fare”, organizzato dalla no-profit Parco Culturale Alta Langa, per la trasmissione delle conoscenze teoriche e pratiche per la conservazione del patrimonio edilizio in pietra. Un progetto manuale e concreto per ristrutturare i ciabot e restituire loro nuovamente la dimensione sociale che li caratterizzava una volta.
Noi piemontesi siamo fatti così: lavoriamo con la testa bassa concentrati sui frutti della nostra terra, e intanto costruiamo o abbiamo a che fare con tesori dal valore inestimabile, come i nostri ciabot, casette vive piene dell’energia della vigna.
Se avrete modo di venire a trovarmi, vi porterò a camminare la terra e a conoscere i ciabot di Langa!
Ph credits: Franco Bello Fotografie